Gli amici di Castellon, Villareal, Alcora ed Onda più il resto del cluster della ceramica spagnola…questo era l’inizio dell’articolo sul numero scorso.
Anche stavolta non possiamo prescindere dal dare un’occhiata di là dal Tirreno. E lo facciamo in un momento di bonanza generale per l’industria ceramica nazionale, che segnerà un ‘segno più’ degno di alcuni anni ’90 e prima decade 2000 pre credit crunch.
Dunque, per Spagna e azulejos, 2020 ‘pancia piena, cuore contento’, 2021 ‘pancia mia, fatti capanna’….ed il 2022??? DAG DE GAS, direbbe Valentino Rossi, ormai ex ‘Dottore’. E per più di una ragione. Vediamo quali.
Il programma di investimenti che sta aggiungendo decine e decine di milioni di mq di porcellanato smaltato in formati ‘italiani’ si sta completando. Il prossimo anno, dopo aver battuto tutti i record, visto che il Q2 2021, o H1 2021 se preferite, vede l’export spagnolo già a 1800 milioni di Euro, +35% , cosa potranno fare?
Non passa giorno che Pamesa non snoccioli le sue cifre sempre più trionfali, al +45% del primo trimestre, ora aggiorna il secondo trimestre Q2 2021 con un clamoroso +65%.
Ma NON partendo da zero o quasi, partendo bensì da quasi 100 milioni di mq di vendita.
Insomma, Pamesa travolge tutti sulle quantità, mentre si battono record negli USA ed in Francia, i due Paesi che sono testa a testa nelle classifiche, davanti al Regno Unito (dove ci danno una paga clamorosa) mentre anche in Germania si iniziano a sentire spifferi caldi dalla Meseta mai arrivati nell’era della pasta rossa.
Fino a quest’anno, mai nella sua storia il settore aveva venduto così tante piastrelle al di fuori della Spagna da superare i 300 milioni di euro in un singolo mese. E in questo 2021 ha già superato questa cifra tre volte: a marzo (329,5 milioni), maggio (315) e giugno (341), mentre ad aprile è rimasta appena sotto (295).
Il primo semestre export della Spagna ceramica è questo (i primi 10 Paesi, che non sono esattamente i nostri, ma 6 su 10 sì), prima col solo Q1, poi a fine Q2:
È il caso, ad esempio, di Francia e Stati Uniti, cresciuti del 41,5% e del 33,9% e dove le vendite erano già molto elevate lo scorso anno.
Ma anche nel Regno Unito (+53%), Italia (+50%), Marocco (+80%, dopo essere calato parecchio nella prima metà dello scorso anno a causa della chiusura del Paese a causa del coronavirus) e Israele (+ 51%).
Vale la pena notare che l’Italia, oserei dire quasi incredibilmente, è il QUINTO paese di export per la Spagna. Intanto, sull’onda di un +50 clamoroso spagnolo, il prossimo 4 settembre, Porcelanosa apre una clamorosa show-room in zona Castello Sforzesco, nel quartiere chic per gli architetti di Milano, dove già sono presenti flagship stores di brand italiani: 600 mq divisi in due ambienti principali, con prodotti di ben 8 società diverse che costituiscono il ‘total concept’ che li contraddistingue, con una selezione sì delle ultime tendenze di pavimenti e rivestimenti ceramici, ma anche di materiali naturali selezionati ad hoc, cucine, bagni, nonché soluzioni costruttive, sia per privati che professionisti nel settore dell’architettura e dell’interior design. Dalla progettazione all’acquisto, integrati e verticali.
Sono ormai aperte 950 tiendas, dirette ed in partnership, in oltre 150 Paesi. Nessun italiano ha osato farlo e non crediamo ormai lo farà più, anche se l’exploit di Iperceramica ha dimostrato che c’era uno spazio anche qui in Italia, andava ovviamente cercato e costruito.
Quindi, NON è vero non si viene attaccati solo sui prezzi (si conferma un export spagnolo negli USA a prezzi stabili se non in calo, franco fabbrica ovviamente, perché il grosso del prezzo dei containers è simile al nostro ‘freight’, nonostante il sistema portuale che hanno a due passi dalle fabbriche, e quindi paradossalmente per loro l’impatto sul prezzo door-to-door è percentualmente pure superiore, ma a parità di trasporto il prodotto spagnolo…costa meno e dunque consente all’importatore, se switcha, di recuperare rispetto al prezzo italiano).
Mentre noi leggiamo messaggi e proclami sui giornali stile ‘cercasi-comprasi azienda o fabbrica’, in Spagna succede roba che da noi si vede solo nella finanza ( beh anche il Santander con Orcel ora Unicredit ha fatto un bel pasticcio di dietrofront), tipo che un direttore generale viene licenziato per aver quasi concluso una negoziazione per la vendita del gruppo per cui lavora, per poi essere…ripreso dopo che i soci hanno cambiato idea (ma non gli han detto sì, hai fatto bene, lo riprende il compratore !). Meglio per lui, una bella liquidazione, e poi di nuovo al lavoro, stessa poltrona.
Dunque, al netto di Pamesa pigliatutto e fanta-finanza, lo scorso anno, e solo per qualche settimana, i costi di produzione infatti erano un pochino rimbalzati verso l’alto, a causa del minor sfruttamento degli impianti dovuto alla fase acuta dei vari lockdown totali prima e parziali dopo, ora si va a bomba, con un patema …..IL GAS appunto. Il gas è un patema, una foglia di fico, un pretesto, una somma di cose.
E’ indubbio che siano aumentati, lo sanno tutti, sia i prezzi del gas (che però durante il lockdown erano crollati a minimi storici, 6 Euro/MWh, pari a nemmeno 10 centesimi al mc) e che questo abbia colpito chi invece aspettava continui ribassi fino a zero, e non si è coperto con contratti fissi, un po’ come succede quando crollano i tassi di interesse, e si continua a preferire il variabile che scende, scende finchè scende, mentre il fisso non può andare a zero, ma protegge dai futuri inevitabili rimbalzi. Chi lo ha fatto, con la dipendenza del settore dal gas vista la potenza del sistema di atomizzazione centralizzato in pochi grandi hub e grandi centrali di cogenerazione termoelettrica, ha azzeccato un jolly. Chi no…si è preso aumenti fino al 15% al mese nei denti e siamo ormai al doppio.
Ora però pure le speculazioni sui titoli per le emissioni di CO2, i famigerati ETS, si iniziano a sentire.E’ che, lamentano tutti gli imprenditori della ceramica di Castellón, anche quelli che stanno guadagnando soldi a palate come mai da 15 anni a questa parte, il forte ritmo manifatturiero degli ultimi mesi è condizionato anche da costi progressivamente un poco più elevati, che riducono i margini e costringono al massimo la produzione per mantenere le imprese al limite della redditività.
Così, l’aumento dei prezzi dell’energia, delle materie prime, dell’imballo come pallet e cartone, dei diritti di emissione e dei noli marittimi – che sono recentemente entrati a far parte di questo pericoloso gruppo e che si riflettono ora anche sulle materie prime che noi stessi importiamo dall’Est via nave, cioè feldspato turco ed argilla ucraina – stanno dando da pensare in molte delle aziende, che stanno vivendo un momento di incertezza che è già prolungato e accentuato nel tempo.
L’impatto potenziale di questi costi al momento è quantificabile, per prodotti di gamma media, in circa 50-60 centesimi al mq, che in Italia vuol dire un 5-8 per cento sul costo di produzione, e che in questi periodi viene negoziato sia sui prezzi intercompany del conto terzi- chi è bravo pagatore e compra materiali top di gamma magari strappa un aumento ridotto del 2-3%, simbolico ma in inversione di tendenza dopo anni, mentre chi è meno bravo si becca tutto l’aumento come premio rischio col classico ‘prendere o lasciare’.
In Spagna invece è molto di più, e quindi l’impatto sul prezzo finale rischia di superare abbondantemente il 10 per cento, con tutto il timore di essere cinesizzati, cioè sostituiti dai clienti price-sensitive, stavolta da turchi (che stanno facendo pure loro incrementi da capogiro in 3-4 aziende enormi) o da sudamericani.
Beh…italiani e spagnoli si sono di fatto alleati contro un sistema che punisce i due poli manifatturieri europei (fino a prova contraria, la Turchia economicamente e politicamente è ancora Asia, anche se è di fatto un produttore mediterraneo, come anche alcuni big players nordafricani).
Insieme rilevano in Commissione Europea che ..’il costo del gas è un problema condiviso da italiani e spagnoli, che hanno visto come in pochi mesi il suo prezzo sia raddoppiato, e pure un aumento dei prezzi delle emissioni di CO2, determinato dall’emission trading europeo ETS, che dieci mesi fa era di 15 euro a tonnellata e ora è sopra i 55 euro, in gran parte dovuto alla speculazione finanziaria’. Si prevede vada a 65.
Per le aziende del settore e le organizzazioni che le rappresentano si tratta di una “situazione pericolosa poiché mina la competitività di un settore da sempre fortemente impegnato nella salvaguardia dell’ambiente e che ha dedicato una parte significativa dei propri investimenti alla riduzione dei consumi energetici e impatto ambientale con risultati tangibili”
L’Italia dice che ..’per mantenere la competitività internazionale, è fondamentale che le nostre imprese non vengano penalizzate da costi della direttiva Emission Trading, che portano vantaggi unicamente alle speculazioni finanziarie. Altrettanto importante in questa fase è che il nostro settore venga compreso nella lista prevista dalla stessa direttiva ETS dei settori ammessi alla compensazione dei costi indiretti, dalla quale è stato ingiustamente escluso dalla Commissione UE’.
La Spagna rincara: ‘È bene ricordare che tutte le importazioni di ceramica prodotta al di fuori dell’Unione Europea non sono sottoposte ad un sistema ETS con conseguente improprio vantaggio concorrenziale. In una logica di reciprocità, sarebbe utile che anche le esportazioni extra UE di ceramica europea non conteggiassero l’onere degli ETS. Il sistema ETS deve considerare la situazione economica del momento, arrivando ad essere ridotto o sospeso qualora le aziende si trovino in una situazione di difficoltà straordinaria. È poi necessario che la decarbonizzazione avvenga nei giusti tempi, tenendo conto del livello di maturità delle tecnologie disponibili perché se non si può ulteriormente migliorare ETS diventa una tassa sui fattori di produzione’. Infatti, è altrimenti impossibile ridurre le emissioni nette di gas serra del 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. Questa è una corsa, anzi una psicosi tipo l’auto elettrica.
Non siamo pronti. Inutile prenderci in giro. Eco qui sostenibile là, ma maciniamo, atomizziamo, e fondiamo fritta. E cuociamo a 1200 gradi, seppure con cicli velocissimi e forni grandi come portaerei.
Il resto sono bubbole. Però gli spagnoli hanno cavalcato alla grande il loro Recovery Plan, buttando avanti una quantità incredibile di progetti per il passaggio parziale dei forni all’uso di idrogeno in miscelazione col metano, visto che al momento è impossibile tecnicamente ed economicamente una ‘combustione’ solo con idrogeno. Questi furbacchioni, con fabbriche simili alle nostre ma meno complesse, propongono di compensare il pagamento dei cosiddetti ‘diritti di investimento’ che, appunto, Bruxelles chiede per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione.
Con questo “almeno il 50% di tale importo [dei diritti] verrebbe utilizzato, se non tutto, per scopi legati all’energia e al cambiamento climatico”. In questo modo, gli Stati membri “contribuirebbero a promuovere la decarbonizzazione delle imprese attraverso incentivi diretti, offrendo un meccanismo per migliorare la liquidità” delle imprese, osserva l’associazione di categoria. E con questo si guadagnerebbe un altro tipo di sostenibilità: economica, fondamentale anche per un settore minacciato dalle grandi sfide che, in materia energetica, si pongono nel medio termine”.
Perciò a Castellon non solo si chiedono sconti fiscali regionali e statali, ma è tutto un fiorire di progetti sperimentali per pagarsi aggiornamenti in fabbrica (qui è stato fatto con l’iperammortamento, qua sarà con fondi europei) con la scusa di usare un po’ di Idrogeno. E sono bravissimi a fare lobbying.
Altrimenti tra prezzo del metano e dell’ETS, fino al 20% dell’utile del settore potrebbe andarsene letteralmente in fumo.
‘Dag de gas’, appunto.