Parafrasando un celebre film di Vincent Minnelli, il Cevisama torna finalmente, dopo l’edizione del 2020 che precedette di pochi giorni il primo lockdown per Covid, con le prime avvisaglie di gente con le mascherine. L’edizione 2021 fu presto cancellata, mentre quella 2022 saltò, quasi in extremis, pur nell’ipotesi di uno spostamento alla primavera. Gli espositori però saranno decisamente meno rispetto al 2020.
Sono successe nel frattempo molte cose. Il 2021 fu un anno trionfale per la ceramica spagnola, venendo da un’accelerazione incredibile del secondo semestre 2020, mentre il 2022 si sta rivelando un anno critico, con seri problemi economici che stanno diventando finanziari, come meglio chiariremo, dovuti in pratica esclusivamente al gas (e secondariamente, visto l’elevata presenza della cogenerazione, anche all’energia elettrica). Eppure, con più di 17.000 dipendenti, la ceramica spagnola, concentrata nella provincia di Castellón, è il quarto produttore mondiale, ed è il secondo esportatore mondiale in quantità dopo la Cina.
Il confronto tra il 2019 e il 2021 riflette una crescita del 29,2% del fatturato (4.855 milioni) e del 30% dell’export (3.665).
In un contesto di incertezza dovuto all’aumento dei costi energetici, ed in parte anche alle materie prime da impasto di provenienza ucraina e turca necessarie per competere sul gres porcellanato anziché con la pasta rossa, la debolezza del ‘made in Spain’ rispetto al ‘made in Italy’ -a livello di capacità di recuperare marginalità trasferendo l’inflazione ed i sovra-costi ai clienti- si è mostrata in tutta la sua evidenza.
Il vantaggio competitivo di un ‘sistema Sassuolo’ e dintorni, che ha aumentato di quasi 3 Euro/mq il proprio prezzo medio ponderato, aumentando i ricavi di quasi 1 miliardo e mezzo di Euro, si è visto alla grande, consentendo di ammortizzare un sovra-costo energetico rispetto all’era pre-Covid di quasi 2 miliardi, con-anche e soprattutto-il grande contributo del Governo, che ha retrocesso alle imprese, sotto forma di credito fiscale, una cifra complessiva stimabile attorno agli 800 milioni.
Ovviamente questo ha scatenato gli spagnoli, incapaci di portare a casa lo stesso incremento di prezzi, facendo fatica ad aumentarli di 2 Euro in media.
Infatti i maggiori ricavi 2022 degli spagnoli (con 570 milioni di mq venduti contro 450 e rotti degli italiani) sono di un miliardo di Euro scarso. Così accusano gli italiani ‘di non aver aumentato i prezzi abbastanza grazie agli aiuti di Draghi’, ma è vero il contrario: gli italiani hanno aumentato i prezzi anche più degli spagnoli, certo in assoluto, ma non in percentuale, perché partivano già da una base di prezzi che era tra 13 e 14 Euro, mentre il corrispondente valore spagnolo era un 7 Euro scarso.
Non parliamo poi della differenza di valore del mix medio a livello di formati: piastrelle praticamente identiche fatte qui e là non ottengono quasi mai lo stesso prezzo all’export sui mercati contendibili.
Le accuse di concorrenza sleale sanno dunque un po’ di foglia di fico, o di rana che dà del cornuto al bue: è vero che le imprese italiane avranno 800 milioni di più in cassa, una enormità, ma è anche vero che – al contrario di quello che gli spagnoli per auto-assolversi pensano – i clienti hanno accettato con riluttanza i nuovi prezzi, con aumenti fino al 25-30 %, mentre non hanno accettato aumenti del 40-50% degli spagnoli perché per loro superare sui prodotti ‘core’ i 10 Euro al mq è quasi impossibile, mentre da noi a questo livello in estate era praticamente impossibile farsi produrre in conto terzi.
Il differenziale competitivo basato sull’appeal di mercato, sul valore percepito, insomma, e non sulla competitività di prezzo basata sui puri costi di produzione, stavolta, in queste condizioni così particolari ed inaspettate, è emerso con molta chiarezza a favore di Sassuolo.
Anche la Spagna ha in fondo diverse aziende importanti, più o meno grandi, capaci di prodotti all’avanguardia, come Inalco o Living, con marchi premium-una per tutte, Porcelanosa, ca va sans dir, ma anche Grespania e Keraben, seppur fatte le debite proporzioni -e aziende pure patrimonialmente molto solide (come STN, o la stessa Grespania) che hanno passato tutto sommato indenni la bufera dei prezzi.
La stessa Neolith, concorrente quasi speculare per storia di Laminam, con una mission tutta concentrata sulle lastre, mantiene livelli di prezzo estremamente lusinghieri.
Hanno sofferto invece le aziende speculative, molto competitive certamente, soprattutto orientate ai volumi produttivi, ma dove l’impresa di portare a casa già 2 Euro al metro –parliamo di 9 contro 16 italiani- è stata di fatto improba.
L’allarme di Ascer, via PriceWaterhouse un mese fa, è che si passerà da un EBITDA settoriale 2021 aggregato di quasi un miliardo di Euro su 4,6 miliardi 2021 di vendite ad un EBITDA 2022 (in spagnolo si dice UAFIRDA) negativo di pari entità, avendo due miliardi in più di costi, ma solo poco più di uno di maggiori ricavi.
Secondo le stime più accurate, l’EBITDA del settore sarebbe stato di 816 milioni di euro se non ci fosse stata la guerra, ma dopo l’invasione di Putin si è tinto di rosso con 1.033 milioni di euro in negativo. Ciò significa che l’impatto sul business del conflitto bellico supera i 1.800 milioni, un pochino meno.
Come sempre, le medie del mezzo pollo non esprimono la realtà di chi muore di fame e di chi ha il frigorifero pieno, perciò, ecco una panoramica parziale per rendersi conto della situazione attuale, soprattutto a livello occupazione. Per la situazione economica, parleranno i singoli bilanci. Baldocer, uno dei produttori di piastrelle più solidi, solvibili e più grandi di Castellon, applicherà un ERTE (di fatto una cassa integrazione ordinaria, la nostra CIGO) a oltre 560 dipendenti fino al 30 giugno 2023.
Baldocer ha presentato questo file il 15 dicembre, ed è un’azienda leader e punto di riferimento nel settore. Contemporaneamente però ha chiesto la mobilità (o licenziamento) per 72 persone, cioè l’organico della fabbrica di Villareal, la più vecchia e piccola (le altre due, moderne e grandi, sono a Villafames).
Gli ERTE hanno coinvolto quasi la metà della forza lavoro di Castellon, quasi sempre a rotazione, ma per oltre 9000 lavoratori, per periodi variabili da 3 a 6 mesi, per qualcuno anche di più.
Non è stato fatto- o se sì, non è stato dichiarato-il conteggio esplicito dei giorni effettivi non lavorati, che darebbe l’idea del reddito da lavoro perso, ma se consideriamo che sono stati prodotti 500 milioni di mq nel 2022 anziché i 630 di capacità stimata, e che viene dichiarato un calo medio del 14% rispetto al 2021 (con punte tra i meno 25% di ottobre, meno 30% e forse anche più di novembre- dicembre sebbene con prezzi gas molto favorevoli) si ha un’idea di difficoltà molto diffuse.
Keraben, o meglio Victoria Ceramics Spain, ha chiesto un ERTE per il 2023 per oltre 1200 persone su 1300 totali, ed ha annunciato (ma i sindacati si oppongono) un ERE (una mobilità) per quasi 200 persone , di cui più di 100 operai, su 380 impiegate in Saloni, a San Juan de Morò, dove rimarrebbero funzionanti solo un atomizzatore a pasta rossa e, ovviamente, uffici e logistica, ma sarebbero fermati 4 forni. “Non elimineremo il marchio Saloni, ma continueremo a promuoverne lo sviluppo futuro, poiché è un elemento chiave della nostra strategia a medio e lungo termine”, ha affermato comunque il CEO Lanuza in una comunicazione interna ‘spoilerata’, ‘il nostro marchio Saloni è stato, è e sarà un pezzo fondamentale del gruppo. I piani per lo sviluppo di Saloni vanno avanti, immutati. Nel caso in cui qualcuno, esterno o interno, inventi la “storia”…. Non è vero che chiuderemo lo ‘stabilimento di Saloni’. Abbiamo chiuso uno degli stabilimenti del gruppo, che è molto diverso. Da anni ormai gli stabilimenti del Gruppo non appartengono a Keraben, Saloni o Ibero… sono stabilimenti del Gruppo e producono per tutto il Gruppo”. Halcón ha presentato una mobilità per 185 dipendenti, più un ERTE per altri 550. Questo è un impatto enorme su un’azienda con circa 1.000 dipendenti in totale, di proprietà di un fondo e con molta, forse troppa leva finanziaria, se pensiamo che solo un anno fa ha realizzato uno stabilimento con 4 forni nuovi. Todagres, impresa storica (la prima spagnola a fare monocottura con forno a rulli, una delle prime a fare- e continuava a farlo- gres tecnico, di proprietà non locale, ha preferito chiudere anziché vendere. Pamesa ha chiuso Azulejera Alcorense, ed ha fermato poi anche Azuliber, acquistata solo un anno fa, con una capacità distribuita in 6 stabilimenti di quasi 36 milioni (tutti di fascia bassa, molta-troppa-pasta rossa, la più penalizzata dalla crescita dei prezzi minimi, dove il cliente non riconosce un value-for-money sopra un certo livello). Potremmo andare avanti per ore, quasi nessuno è rimasto indenne dagli ERTE. Eppure, per Ascer, il settore spagnolo delle piastrelle è ancora un settore ‘potente e redditizio’. È il terzo esportatore mondiale in valore, il primo produttore europeo, e -grazie alla sua propensione all’export- ha il merito di aver contribuito a ridurre il deficit commerciale della Spagna fino al 13% nel 2021, tuttavia è allo stesso tempo fortemente dipendente dall’energia, consumando l’8% di gas industriale in Spagna, quindi ‘finché questa situazione durerà, ne risentirà chiaramente’.
Deloitte, altra grande organizzazione consulente di Ascer, già a maggio-giugno 2022 spiegava che “al momento, dal nostro punto di vista, la sfida maggiore risiede nella necessità di finanziare l’aumento del fabbisogno di capitale circolante del settore. Stimiamo che questo aumento sia di circa 1.000 milioni di euro per il settore nel suo complesso, e sebbene si tratti di un finanziamento relativamente semplice, visto che si tratta di anticipare l’incasso dei saldi dei clienti, in un contesto di insolvenza quasi nulla, finora l’accesso a tali ulteriori il finanziamento si sta rivelando difficile ». Per finanziamento del capitale circolante intendiamo che è quel finanziamento a breve termine che viene ottenuto dall’azienda per poter far fronte ai suoi pagamenti a breve termine, ovvero per effettuare i pagamenti di attività a breve termine. Parliamo, in particolare, della crescita della bolletta energetica del settore, che incide direttamente sulla redditività delle aziende in quanto insostenibile, nonostante una parte di tale extra costo si rifletta sui prezzi dei prodotti.
L’industria è stata in grado di gestire la tanto temuta dipendenza dall’argilla ucraina in tempi record, dimostrando ancora una volta la sua eccellente maneggevolezza e adattabilità (ma già a settembre sono arrivate nuovamente navi di argilla ucraina, via Danzica o via Romania). L’unica cosa che accomuna italiani e spagnoli è la preoccupazione per lo svantaggio competitivo che potrebbero subire rispetto ad altri Paesi come India, Turchia, Cina o regioni dell’America Latina, produttori ceramici che godono di minori costi energetici e minori restrizioni ambientali rispetto all’Europa. Ma gli italiani ormai sanno che – a certi prezzi, elevati- loro possono comunque vendere, e dunque guadagnare, mentre questi livelli sono assolutamente inaccessibili, nemmeno a parità di prodotto, perché nessuno paga una lastra ‘made in India’ nel mondo come un ‘made in Fiandre’ , ‘made in Mirage’ o ‘made in Florim’, e pochi spagnoli riescono ad avvicinare il livello di prezzi dei tanti marchi premium italiani. Non a caso, dopo alcuni anni consecutivi di crescita con i prezzi che sappiamo, al primo aumento il mercato americano si è un poco allontanato dalla ceramica valenciana. L’incremento dell’energia e dei trasporti ha comportato una drastica riduzione degli acquisti dagli Stati Uniti, solo parzialmente compensati dal mercato francese. Secondo i dati doganali, il calo in volume delle vendite nel continente americano è del 21%, mentre le esportazioni nel loro complesso diminuiscono del 3%. Vale la pena ricordare che l’anno scorso il cambio euro/dollaro era compreso tra 1,15 e 1,21, mentre quest’anno è partito da 1,13, è arrivato fino a 0,96, ed è poi risalito fino a toccare nuovamente l’euro. Ora è nuovamente salito e si aggira intorno a 1,08 dollari per euro. Va poi anche detto che pure i colorifici ovviamente hanno sofferto, sia per ragioni geopolitiche-il litigio con l’Algeria ha fatto perdere quasi 70 milioni di fatturato ai soci di ANFFECC-che per ovvie problematiche di costo energetico di produzione delle fritte, visto il costo della fusione aumentato di diverse volte. Perciò, forni fusori fermi, e temute delocalizzazioni in Paesi dove il metano costa come l’aria, cioè in Algeria appunto e nei Paesi mediorientali, che sono anche tra l’altro clienti export rilevanti. Non a caso, ad esempio, pure Altadia (il colosso nato dalla fusione di Esmalglass Itaca con Ferro ma che integra pure Fritta, Endeka e Quimicer) ha previsto un ERTE per quasi 500 persone fino a metà anno. Il problema, se ci sarà, sarà dopo, quando potrebbe esserci un ERE tra 100 e 200 unità. Insomma, sarà un Cevisama dimezzato, con pochi espositori, molti ‘fuori salone’ in contemporanea (segno di minor coesione rispetto al passato? Staremo a vedere). Molti si consoleranno con i ‘chipirones a la plancha’ che non assaggiano da un po’ di tempo. La paella in fondo è un po’ scontata. Buona fiera a tutti.