La crisi sanitaria che il coronavirus ci ha inferto ha raggiunto proporzioni davvero drammatiche e non solo in Italia (per ora solo al Nord per fortuna) ma in tutto il mondo occidentale.
Gli effetti che avrà sull’economia europea nei prossimi mesi possono acuire ulteriormente la crisi sociale che si sta già vivendo qui in Italia.
Il conto da pagare sul territorio modenese e reggiano –con l’appendice di Imola Faenza- per l’arresto forzato dell’industria ceramica italiana sarà molto salato. A questo si aggiunge il comportamento antagonista e competitivo, come è inevitabile negli affari, mors tua vita mea, degli spagnoli.
Solo in Spagna una settimana normale di mancate spedizioni vale mediamente 100 milioni di Euro, in Italia vale quasi il 50 per cento in più.
La liquidità dovuta a mancate fatturazioni –non certo anticipabili in banca- o da mancati pagamenti dei clienti che già da subito fanno i furbi, come d’altronde a loro volta molte ceramiche hanno già iniziato a fare con la loro catena di fornitura ‘per prudenza’ (sic) è una botta notevole per chi deve affrontare milioni di euro di esborsi mensili in salari, tasse, ma anche mutui per impianti non ancora pagati e ammortizzati o per acquisizioni a forte leva e conseguente indebitamento in bond o bancario.
Il settore ceramico non è né più né meno che uno solo tra le attività economiche colpite dagli effetti della pandemia, ma questa industria è uno dei principali motori economici di intere aree, lo è della provincia di Castellón e delle provincie di Modena e Reggio, con un peso essenziale per Spagna ed Italia nel bilancio del commercio estero. Quasi 35.000 posti di lavoro diretti nei due Paesi dipendono da questo business, includendo i colorifici e le macchine/impianti, ma c’è una vastissima rete di piccole e medie aziende, fornitrici e di beni e di servizi, come gli studi di design, e di professionisti- come me- la cui economia ruota attorno al mondo delle piastrelle, per finire ai servizi puri, dalla logistica ai bar e ristoranti. Se valutiamo un indotto diretto siamo molto vicini a 100.000 persone che vivono di reddito dovuto alla ceramica nei due Paesi, e conseguentemente almeno il doppio con i familiari. Sono davvero tante.
L’Italia ha legiferato un blocco totale il 22 marzo -preceduto da chiusure volontarie ma alla spicciolata- che si è poi di fatto concretizzato in ceramica solo il 25 marzo, dopo febbrili consultazioni, proteste per la difficoltà di spegnimento in sicurezza e con produzione in corso, colpi di scena, ripensamenti, trattative, con governo, prefetti, governatori di regione, Confindustria, fino alle comiche dei codici ATECO.
La chiusura produttiva e logistica prevista fino al 13 aprile ha visto poi la riapertura dei magazzini -da parte di chi ha voluto o osato – già il 30 marzo, molti il 6 aprile, ed il 14, dopo Pasquetta, ci si aspettava di vedere caso per caso che cosa sarebbe avvenuto nei diversi stabilimenti, ma la proroga della chiusura fino al 3 maggio appena decisa dal Governo il Venerdì santo, tra sonore proteste, scombussola i piani di chi voleva già ripartire, mentre però molte altre aziende si erano già messe il cuore in pace, mi viene da dire con sano realismo o con prudente rassegnazione, prevedendo finestre utili a fine aprile se non già in maggio.
In Spagna si sono sfruttati i circa 15 giorni di vantaggio rispetto all’Italia sulla minore diffusione del virus, poi, quando è esploso il contagio a Madrid, l’accelerazione della diffusione è stata fortissima ma a Castellon tutto sommato i numeri non sono stati ritenuti drammatici, ma il blocco alla fine c’è stato lo stesso, con poco più di una settimana di ritardo rispetto all’Italia, e con un arresto forzato con regio decreto il 30 marzo, con durata di 2 settimane fino al 9 aprile, quando il 28 marzo il governo ha dato all’industria delle piastrelle due giorni per chiudere tutte le sue fabbriche.
Due successive rettifiche da parte dell’Esecutivo di Sanchez hanno permesso prima che i carichi delle merci rispondessero alla domanda internazionale (sono stati accaparrati contenitori ai due grandi porti limitrofi) e poi, poco dopo, anche alle spedizioni sul mercato interno.
La Spagna in marzo è andata ai 200 all’ora per molti giorni, sia a produrre che a spedire, e probabilmente i dati al 30 marzo parleranno di un trimestre molto buono, se non quasi eccezionale. Resta il fatto che anche in Spagna si teme che i prestiti annunciati dall’Esecutivo attraverso l’ICO non si materializzino presto.
In ogni caso, una sospensione di due settimane in marzo-aprile, come stagionalità, significa che il settore ceramico spagnolo perderà fino a 20 milioni di metri quadrati di spedizione che, con un prezzo medio di 6-7 euro, rappresentano 120-140 milioni di euro. Va tenuto presente che siamo nel periodo dell’anno con la più alta attività commerciale per l’industria perché è il secondo trimestre, sono i mesi di aprile, maggio e giugno, che danno i migliori risultati in termini di affari. Infatti la ripartenza che è in corso-siamo nel weekend di Pasqua-non sarà totale, perché un conto è produrre per ordini, un altro per lo stock.
L’Italia ovviamente perderà molto di più, soprattutto non potendo ripartire, anche se i clienti non sono gli stessi, i prodotti ed i prezzi nemmeno
Il settore ceramico spagnolo guarda comunque ogni giorno al suo massimo concorrente, l’industria italiana, e viceversa, i dialoghi istituzionali tra i vertici delle associazioni sono continui, ma non il coordinamento, perché siamo comunque in 2 Paesi diversi, concorrenti, in situazione sanitaria e politica differente, e si teme che la chiusura o la ridotta attività dei clienti durerà più a lungo di quanto sperato, mentre si osservano dalla Spagna con preoccupazione alcune nostre difficoltà.
L’Italia è infatti un mercato estremamente importante sia per le piastrelle e soprattutto per gli smalti spagnoli. L’Italia è il quarto cliente della piastrella spagnola e il primo per le fritte, perchè la ceramica ha venduto ben 110 milioni di euro nel 2019 con un aumento del 3,5%, mentre gli smalti spagnoli hanno fatturato un totale di 89,4 milioni di euro in Italia nel 2019, che rappresentava già però una contrazione di quasi il 30 percento rispetto all’anno precedente, causa combinazione di minor valore e quantità, essendosi ridotti fortemente i coloranti da impasto-chi fa più gres tecnico? – ed i consumi di fritte- chi fa più rivestimento e lucidi? Al massimo graniglie da lappare, ma su queste i produttori domestici sono piuttosto forti.
D’altra parte, una paralisi produttiva in Italia di durata minima di 3 settimane che ora diventano quasi 6 – ma molte aziende, come dicevamo, avevano già previsto fermate produttive totali o parziali fino ai primi di maggio, per complessive 7, 8 o addirittura 9 settimane- stoppa il cliente principale di fritte e smalti spagnoli, i quali però già da Pasqua ripartiranno comunque con i propri forni fusori, sebbene a capacità ridotta, in quanto è da Castellon che si alimentano i principali produttori di piastrelle in Europa, Nord Africa, e un po’ dovunque nel mondo.
Anffecc aveva già chiesto al governo che, nel caso in cui le misure di disoccupazione forzata fossero state prolungate oltre le vacanze di Pasqua, fosse concessa un’attività minima (che, d’altra parte, era comunque concessa perché i colorifici fanno parte del settore chimico, considerato essenziale) per poter soddisfare i suoi ordini internazionali “e non perdere i nostri clienti stranieri”.
In settori come questo, le scorte sono scarse, è necessario continuare a produrre per servire i propri clienti
“Nel caso dei composti, sottolineano, questi si approntano formulando normalmente solo su ordine, quindi dobbiamo essere in grado di continuare a produrre le miscele per servire i nostri clienti “.
Con l’Italia ferma ed altri Paesi in blocco, si tenterà di garantire “una produzione minima, con una percentuale molto bassa di personale, per essere in grado di fornire assistenza, rispettare i nostri impegni contrattuali e non perdere clienti”, fattore “essenziale per mantenerci”.
La sospensione delle fiere Mosbuild in Russia e Coverings negli Stati Uniti, e la mancanza di fiducia che questa pandemia globale infligge agli investitori, aprono le porte a uno scenario in cui questo settore non si trovava da tempo, dopo il triennio magico 2015-2017, la crisi 2008-2010 e dopo due anni 2018-2019 di assestamento con numerose operazioni societarie di acquisizione e di aggregazione.
Non osiamo per ora pensare seriamente allo scenario di un Cersaie ed un Tecnargilla annullati, ma è una ipotesi ad oggi non da scartare, non solo per motivi sanitari, ma anche e soprattutto per motivi pratici e logistici (situazione trasporti, hospitality e capacità ricettiva/ristorazione, etc) tutta da verificare, oltre ovviamente alla situazione finanziaria che le aziende potrebbero avere a settembre.
Ascer ha già alzato ripetutamente la voce, lamentandosi per cercare di ottenere, con il potere negoziale che deriva dall’importanza economica e sociale sul suo territorio valenciano, il massimo dal Governo a livello di sostegno economico e finanziario.
Lo stesso hanno fatto ANFFECC e Asebec, smalti e macchine, che hanno insistito sulla necessità di adottare nuove misure per garantire l’occupazione e non compromettere il futuro di un’industria leader nel mondo e chiave di volta per le esportazioni spagnole.
Il presidente di Ascer Nomdedeu ha poi valutato le misure adottate dal suo governo in modo “moderatamente positivo”, aggiungendo poi però che vi è “un alto grado di imprecisione nelle misure, essendo, a giudizio del settore, insufficiente e in alcuni casi non molto specifico”.
In particolare, in materia di lavoro, e per quanto riguarda l’applicazione degli ERTE, cioè i licenziamenti temporanei-chiamati un po’ ipocritamente ‘sospensione’ per causa di forza maggiore, in realtà sono un po’ una mobilità un po’ una Naspi- il decreto “genera incertezza e contrasta con il messaggio del presidente Sánchez, causa mancanza di comprensione delle attività e delle condizioni in cui le imprese si trovano e di ciò di cui possono avvalersene “.
Allo stesso modo, Ascer sottolinea che nessuna misura avrà effetto “se il governo non garantisce la liquidità delle aziende con misure agili e rapide che consentono ai settori di garantire la propria sopravvivenza dopo questa crisi”, “le misure incluse nel regio decreto “sono imprecise, devono essere sviluppate e l’applicazione di garanzie pubbliche e garanzie che garantiscano l’accesso al credito per le imprese non è chiara”.
Confindustria Ceramica non è stata certo a guardare, ed il presidente Savorani in particolare si è distinto per numerosi interventi pubblici, ripetutamente anche con articoli sul Sole 24 Ore, per ottenere supporto dalla pubblica amministrazione e per invocare provvedimenti di natura strutturale.
Pertanto, sia italiani che spagnoli invocano e richiedono “misure di liquidità ampie e trasparenti, facilmente accessibili” ma nel caso italiano-anzi nel caos governativo- cresce la sfiducia, ci sono annunci e decreti, ma non fatti concreti e certi.
Naturalmente, resta da vedere la domanda nei prossimi mesi da parte dei clienti, in particolare i grandi distributori, che hanno magazzini al completo.
Ing. Cristiano Canotti