Gli amici di Castellon, Villareal, Alcora ed Onda più il resto del cluster della ceramica spagnola ricorderanno a lungo questo 2020 e forse ancora di più il 2021.
Se il 2020 è stato un anno da ‘pancia piena, cuore contento’, probabilmente il 2021 sarà per loro un anno da ‘pancia mia, fatti capanna’. Il programma di investimenti sviluppato dai principali gruppi leader nei volumi produttivi (Pamesa, STN, Halcon in primo luogo, ma anche molti altri) è infatti così consistente, diverse decine di milioni di mq/anno di capacità aggiuntiva sul porcellanato smaltato, da avere contribuito a tenere a galla il settore degli impiantisti italiani in un 2020 altrimenti improvvisamente difficilissimo, poi riapertosi con un boom di impianti richiesti in vari Paesi, dove l’Asia ha un gran peso.
La gestione del lockdown di primavera 2020 è costata agli italiani oltre un mese e mezzo di mancata produzione, che alla fine sono diventati una sessantina di milioni di mq, e questo ha contribuito grandemente alla monetizzazione dei magazzini, visto che le vendite sono rimaste tutto sommato stabili, di poco sotto ai 400 milioni di mq, con grande gioia dei direttori finanziari, che hanno visto flussi di liquidità ingenti in ingresso, necessari per bilanciare i maggiori costi fissi non assorbiti, per fortuna in modo molto minore rispetto agli alberghi od ai ristoranti.
I costi di produzione infatti spesso sono rimbalzati verso l’alto, a causa del minor sfruttamento degli impianti, e questo avrà un impatto sui bilanci di alcune imprese, in generale quelle con alti ammortamenti rispetto alla capacità, anche se lo sfruttamento intensivo degli ammortizzatori sociali consentito ha ridotto l’incidenza del costo del personale, ed alcuni risultati già mostrano che alcune imprese, paradossalmente ma non poi tanto, sono state avvantaggiate dal ‘trade-off’ che c’è tra i due principali fattori di costo fissi, soprattutto quando alti ammortamenti vogliono dire alta automazione e produttività, non solo alta capacità. In più, il calo dei costi commerciali (meno viaggi, meno trasferte, meno fiere, meno costi di rappresentanza) si è fatto sentire, e quindi ci si aspettano alcuni risultati lusinghieri, del tutto insperati solo lo scorso maggio.
In Spagna invece il calo produttivo è stato minimo, se non nullo e qualcuno addirittura ha prodotto di più, quindi i costi di produzione sono rimasti bassi e lo stock praticamente invariato, e vendibile agli stessi prezzi. La Spagna ha però conquistato -con un 16% di incremento delle sue vendite (da 350.000 sq.ft a oltre 407.000, equivalenti a quasi 40 milioni di mq) una bella fetta del mercato USA, lasciato orfano dell’import cinese, in cui si sono infilati pure, in maniera furibonda, i brasiliani (più 15%, da quasi 20 milioni di mq a 23), i turchi ( più 40%, da 17 milioni di mq a 24) , e gli indiani, che con un spettacolare +180% hanno triplicato il proprio export, da 6 a 18 milioni, e si ripromettono un 2021 dall’inerzia molto positiva.
L’Italia ha difeso le posizioni, rimanendo sempre ben sopra i 30 milioni di mq, e ricordando che le industrie italiane hanno una produzione locale –al netto della ex Marazzi ed ex Emilceramica ora Daltile- quasi equivalente se non superiore a livello di capacità installata, la presenza sul mercato USA è fatta da una produzione domestica nazionale di 902.000.000 sq.ft. (in pratica quello che non è di proprietà italiana è quasi tutto Daltile, a cui si aggiunge la fabbrica locale di Marco Polo-American Wonder e poco altro) contro un import di poco meno di 2 miliardi di sq.ft.
Sorprende relativamente questa serie di eventi: il prezzo medio spagnolo ‘landed’ per un importatore (cioè incluso di CIF e dogana) è di 1.15 USD/sq. ft, il che vuol dire che, franco partenza, difficilmente gli spagnoli hanno venduto sopra i 7-8 dollari/ mq il mix produttivo offerto, il che è coerente –c’è pochissimo rivestimento in monoporosa che viaggia via container negli USA, e viaggiano di più i piccoli formati in gres dove ce le stanno suonando di santa ragione tre-quattro aziendine molto forti -e questo prezzo li pone in una categoria sì superiore ai prezzi EXW dei cinesi, invariabilmente tra i 4 ed i 5 dollari, ma anche a quella dei turchi (0,75 USD/sq.ft) e dei brasiliani (0,64), per non parlare dei messicani, che non riescono a sfruttare la vicinanza logistica e si trovano incredibilmente a perdere terreno, pur con pasta rossa di formati medi di pari identico prezzo del prodotto brasileiro, che pure vede una maggior presenza del porcellanato smaltato rispetto ai messicani che proprio fanno fatica a venderlo (anche a produrlo, ad onor del vero).
Da rimarcare, il più 16 per cento in volumi degli spagnoli, sotto il profilo monetario, si traduce in un più 5 per cento, col prezzo medio calato infatti di un buon 10 per cento. Quindi, hanno picchiato duro.
Invece, il prezzo medio dei turchi è cresciuto, come pure quello carioca, e questo è preoccupante, perché significa che probabilmente sono prodotti/formati di maggior pregio rispetto a quanto venduto prima, e che il cliente americano li sta omologando come produttori meno cheap o entry-level per prodotti di rapporto qualità/prezzo accettabile.
Dove sono gli italiani? Lassù, con un prezzo landed sotto i 2 dollari, che significa un prezzo alla partenza dalle nostre fabbriche emiliano-romagnole abbastanza prossimo al prezzo medio ponderato nazionale, sempre di 13.5 Euro/mq circa, anche se probabilmente un po’ più basso a causa della vendita per container, senza l’apporto dello spallettizzato che vede scontistiche ridotte.
Naturalmente la produzione nazionale USA riferita a proprietà italiane è relativa a formati in generale meno grandi e meno pregiati (altrimenti cosa produrremmo qui?), e questo sta a significare che una manifattura basata nel Tennessee rischia di essere poco competitiva a causa degli elevati costi logistici da affrontare per arrivare sulle coste, atlantica e pacifica, dove si concentrano popolazione e consumi, a parte il Texas.
La dinamica del costo dei noli marittimi e conseguentemente dei containers, in forte crescita soprattutto a causa dell’accaparramento di materie prime da parte della Cina, anche se forse per ora più per cause speculative che fisiche, potrebbe rimettere tutto in discussione, ma è evidente che il Brasile e l’India offrono prezzi che sono meno della metà del prezzo italiano, e questo significa incontrovertibilmente che il buyer americano – ed il cliente contractor o consumatore a cui si rivolge – non può o non intende pagare più di una certa cifra un mq di piastrelle ritenute, a torto o a ragione non importa, pure commodities intercambiabili ‘ as a matter of fact’.
Ci stiamo allora marginalizzando su questo mercato chiave e vetrina? No, non ancora, ma è certo che la nostra offerta si concentra su formati e prodotti che si posizionano sì, là, in alto, ma non può presumibilmente aumentare, altrimenti, non si spiegherebbe come mai, dei 65 milioni di mq importati dalla Cina negli anni passati, di fatto non ne abbiamo intercettato nemmeno uno.
Speriamo quindi che non sia la nostra offerta ad essere erosa dai produttori che, grazie ai loro costi di produzione e non al dumping di Stato, sono inevitabilmente più competitivi di noi grazie a fattori di costo vantaggiosi, ma anche, va detto, ad aziende di dimensioni quantitativamente nettamente più grandi.
Non è un caso che i maggiori produttori turchi, brasiliani, spagnoli abbiano capacità di diverse decine di milioni di mq annui, ma quelle aziende sono molte, mentre da noi già 20 milioni di mq posizionano un’azienda nella top 10 senza fatica.
Perciò, la massa critica delle imprese deve aumentare, aggregazioni ben fatte o meno, e pure la fascia medio-bassa della ceramica ‘commodity’ deve essere coperta, perché in Italia non mancano gli esempi di aziende no-frills capaci di vendere nella fascia 4-6 Euro/mq con assoluto profitto, perché oggi il rettificato è banale e disponibile in tutto il mondo a costi irrisori grazie alla tecnologia del secco e quindi non è più un fattore qualificante o distintivo, perché la percentuale di lappato lucido per aumentare prezzi e margini non può crescere all’infinito, perché le lastre ora le fanno indiani e cinesi e picchieranno duro se e quando vorranno/dovranno, con decine di impianti –soprattutto in Cina, quasi in ogni regione – già in fase di installazione e partenza.
Lo stesso vale per lo spessorato: solo nello Jiangxi si prevede una produzione di un miliardo di mq di spessore 20 mm, ne rimarrà tanto in Asia, ma questa offerta abbatterà ancora di più il livello di prezzo di una tipologia che ha fatto fare le budella d’oro a molti per qualche tempo, mentre ora si vende sì, ma a marginalità ridotte, se non crollate, nei mercati europei, ma anche negli USA.
La prossima frontiera, dopo il 30 mm, saranno gli autobloccanti da 5-6 cm? Andremo all’attacco del cemento, dopo averlo fatto contro le pietre?
Vedremo, c’è chi ci sta lavorando, sia seriamente che meno.
La perdurante crisi sanitaria rallenta il segmento contract-project in certe aree mondiali, soprattutto quello legato al segmento commerciale, ma pare non toccare il segmento residenziale, sia nel nuovo che nella riqualificazione.
Quel che è certo, il mondo non si è fermato, gli aerei vuoti dimostrano sì che la mobilità si è per ora grandemente ridotta, ma che la maggior stanzialità non si è tradotta per ora in un calo sostanziale dei consumi di piastrelle o lastre (sarebbe anche ora di considerarli prodotti differenziati per evitare di fare medie del mezzo pollo) tale da mettere in difficoltà il settore ceramico a livello mondiale.
Però, forse, questo calo contribuirà a ridisegnare la geografia e la gerarchia su alcuni mercati.