Sono diventati tutti esperti di gas e di idrogeno. O almeno così pare. Questo nel giro di un paio di mesi, da inizio Settembre a fine Ottobre, dopo le meritate vacanze per riposarsi da una ‘tirata’ di inizio anno come non si vedeva da decenni, e la liturgia del Cersaie, dove i soliti noti hanno potuto reincontrarsi fisicamente, seppure mascherati, per riallacciare rapporti fisici diretti tra loro e con alcuni clienti, sebbene mancassero intere etnie ed interi continenti. Ma piotost che gninta, piotost.
Peccato però che molti (imprenditori, dirigenti, politici) siano stati cicale, e solo alcune formiche dormiranno un inverno tranquillo, al tepore ed al riparo di prudenti contratti bloccati, stipulati in tempi non sospetti, quando la fiammata speculativa ed inflazionistica ancora non aveva colpito, come previsto, seppure non in queste proporzioni, le attività produttive di processo. I processi energivori sono parecchi, a partire dall’acciaio (problema ILVA a parte, non piccolo come si vede, non si trova acciaio in giro), dal vetro, dal cemento, e la ceramica è importante sì, ma è solo uno di questi, e nemmeno il più grande, anche se la sua concentrazione territoriale lo rende particolarmente importante e critico ( a Sassuolo e dintorni come a Castellon, loro hanno poi anche le arance, noi il Lambrusco, l’aceto balsamico, il prosciutto ed il parmigiano reggiano…che è più modenese che mai).
Ora, Sassuolo produce ceramica, e consuma circa- lo dice l’associazione, ed è oggettivamente vero- 1,2 miliardi di metri cubi di gas annui, circa 100 milioni al mese, rapportati ad una capacità di riferimento di 400 milioni di mq annui. Bene, quest’anno l’Italia recupererà i suoi massimi produttivi dal 2008 sia in volumi che in fatturato, e sicuramente, fino a fine giugno, erano al massimo anche i margini, nonostante la pressione della concorrenza spagnola sui mercati USA e Francia, molto meno in Germania.
Con la crescita dei prodotti spessorati da esterno da 20 e perfino 30 mm – il 50 mm lo lasciamo agli amatori del porfido- e con le lastre che concentrano i propri spessori attorno al 12 mm, sebbene ci sia tanto 6 mm e cresca anche qui il 20 mm ed arriverà-oh se arriverà- il 30 mm che compete con countertops fatti di quarzo-resina o con materiali naturali( più granito che marmo, oggettivamente), crescono i pesi al mq, e quindi, ipotizzando sia circa 430-440 milioni la forchetta in cui si collocherà l’output finale italiano, pur con tanto riciclo virtuoso degli scarti crudi e cotti di lavorazione (ricordiamo gli sfridi delle lastre e delle rettifiche a secco), il settore tratta quasi 10 MILIONI di tonnellate di argille, feldspati, sabbie. UN MILIONE AL MESE.
Sarebbe bene iniziare a preoccuparsi non solo di Putin e dei suoi tubi del gas: se una portaerei sia piazzasse non dico a sbarrare il Bosforo o i Dardanelli, ma solo nell’Egeo, o se si tornasse ad ingallonare una portacontainer tipo quella che ha bloccato Suez, sempre nel golfo di Marmara, l’Italia ceramica tornerebbe all’età della pietra- anzi no, il nome sarebbe una beffa, diciamo solo al Pleistocene- oppure … alla pasta rossa.
Si continua a dare poi per scontato, a parte la situazione geopolitica con Erdogan e con l’Ucraina che non è per nulla tranquilla, che ci siano argille e feldpsati da porcellanato FOREVER e FOR EVERYBODY, e invece NO.
Perciò, siccome pure gli spagnoli fanno porcellanato con le nostre stesse materie prime di importazione, tranne una relativamente piccola percentuale di prodotti domestici (anche in Italia avviene più o meno lo stesso, con prodotti unici come aplite, eurite, feldspati piemontesi, qualche caolino e… basta), la preoccupazione che ogni tanto colpiva lo Zirconio per fare il bianco si è già spostata alle allumine sbiancanti, ma poi pure la Germania non può dare di più di quello che già dà dal Westerwald, ergo…un bello ‘shortage’ speculativo è già partito, e dispiegherà tutti i suoi effetti nel 2022, con costi dell’atomizzato in crescita di minimo 15-20 Euro alla tonnellata, come già fatto dagli spagnoli, dove 3-4 colossi dominano il mercato e dove moltissime ceramiche non sono indipendenti come impasto.
I noli da Turchia ed Ucraina sono già praticamente raddoppiati (da Odessa in realtà le argille anche qualcosa di più, da 15-16 a 35-37 Euro per tonnellata, mentre da Gulluk il feldspato è passato da 9-10 Euro a 15 e sta aumentando ancora). Prevediamo perciò argille door-to-door ampiamente sopra i 120 Euro/ton e feldspati sopra i 70, quando ora sono a 55 e solo due anni fa erano a 40 scarsi. Ma che pretendiamo? Non sono stati fatti contratti lunghi sul gas, figuriamoci se farli sulle materie prime, con l’isterismo di ‘tenere le mani libere’ e ‘state corti’ e l’illusione di torturare e torchiare e tosare così i fornitori.
Pure gli smalti, dopo un decennio di svendita di fritte, graniglie ed inchiostri precipitati a ‘niente al mq’, stanno affrontando rincari a doppia cifra di tutti i principali ossidi, ergo, aumenta tutto, e quindi, oltre alla fetta di pane che rincara, rincara anche la marmellata sopra.
Questo mercato si sta squilibrando a favore dell’offerta, la ‘roba’ è scarsa, come nel dopoguerra o negli anni 60, non c’è concorrenza che tenga, se vuoi la roba, ‘cara grazia’ se la trovi devi pagarla, se no la danno a qualcun altro. Gruppi che fanno 50 milioni di mq devono comprare navi da decine di migliaia di tonnellate alla volta, come fa Pamesa, anche se questo vuol dire non variabilizzare tutto, e gestire in prima persona senza pigrizia od opportunismo – i mezzi finanziari ci sono e ce li hanno in tanti, altro che balle-‘fastidi’ che è stato troppo comodo esternalizzare quando il mercato era fatto dalla domanda, che era scarsa, con filiera che in certi momenti si è dissanguata (vedere i margini in serie storica degli impiantisti e dei colorifici per credere).
L’industria ceramica spagnola nel frattempo continua imperterrita con i record nelle esportazioni e nelle vendite in generale nel 2021, che, a partire da fine estate è comunque segnato anche a Castellon, come in Italia, dall’impennata dei costi delle materie prime e dell’energia.
Così, la chiusura di Settembre in termini di esportazioni ha evidenziato ancora una volta la buona salute della domanda di prodotti ceramici spagnoli, poiché in questo mese le spedizioni all’estero hanno avuto un volume d’affari di 491 milioni di euro, che rappresenta un aumento del 20,6% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente e un tasso di variazione annuo del 23,8%.
Con questi dati il saldo è molto vicino alle previsioni complessive del settore per la fine dell’anno, che dovrebbero attestarsi intorno al 20%. L’ultimo rapporto statistico dell’Istituto per il Commercio Estero (Icex), diffuso intorno al 20 Novembre, parla di esportazioni per un valore di 4.187 milioni di euro nel periodo compreso tra gennaio e settembre 2021, quando nel 2020 erano 3.248 milioni, il che rappresenta un tasso di variazione annuo positivo del 30,5%.
Sono ancora una volta i mercati tradizionali a guidare questo comportamento, come nel caso dei paesi dell’UE, in particolare la Francia ma, soprattutto, gli Stati Uniti.
Per quanto riguarda le importazioni di ceramiche e prodotti affini, di provenienza varia (Portogallo, Italia, etc) hanno raggiunto i 717 milioni di euro, non pochi, fatto che rappresenta un saldo commerciale positivo di quasi 3.470 milioni di euro.
L’attuale aumento dei costi energetici avrà inevitabilmente un impatto diretto sui bilanci delle aziende ceramiche, poiché è prevista una significativa perdita di redditività, secondo le previsioni congiunte sia di Confindustria Ceramica che dell’Associazione spagnola dei produttori di piastrelle e pavimenti in ceramica, Ascer.
Il paradosso è che, a fronte di questa sostanziale perdita di redditività, iniziata a metà anno dopo un semestre da record (e proseguito per inerzia fino a tutto settembre, il Q3 2021), il settore, in entrambi i Paesi, si ritroverà con buoni dati in termini di vendite sia all’estero che nel mercato interno, produzione e occupazione. Secondo le stime, la domanda rimarrà forte e si aggirerà intorno al 17-20% in eccesso rispetto alla capacità effettiva della produzione in Italia, mentre in Spagna si sono installati numerosi impianti e si sta aggiungendo nuova capacità. Se pensiamo che 16 mesi fa eravamo in lockdown duro, eravamo gli untori d’Europa ed era pronta l’Apocalisse civile ed economica (a proposito, sarà bene essere prudenti alla luce dei disastri sanitari del Nord e centro Europa, sperando prima di rimanerne estranei, e poi che non si pianti tutto, con un bell’effetto di tamponamento a catena che poi –combinato con l’inflazione-sarebbe un mix micidiale).
Alla fine del terzo trimestre, il settore spagnolo ha venduto e prodotto in equilibrio circa il 20% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma quella percentuale tenderà a diminuire alla fine dell’anno, secondo il suo presidente, Nomdedeu, che martella ogni giorno su ogni canale mediatico. Lo sta facendo anche in Italia, dove non passa giorno che un quotidiano a scelta – Corriere, Sole24 Ore, Repubblica, Gazzetta di Modena, Carlino e tra un po’ anche Topolino- non riporti un grido di dolore alla Bombolo (se non ricordate la scena, cercatevela su Youtube) sui costi e sugli allarmi sociali (‘chiudiamo tutto perché siamo in perdita’). Il che è un ricatto bello e buono, perché i settori a monte hanno già visto i propri organici più volte decimati dalle ondate delle crisi precedenti scaricate proprio sui fornitori ….ma…. a proposito …. non stiamo scrivendo sull’house organ di un settore, il terzo fuoco e le lavorazioni esterne, che ne è stato travolto ? o ce lo dimentichiamo?
Aziende spazzate via con concordati discutibili e con ricatti da strozzini sui prezzi conditi da ‘se non accetti il concordato cambio fornitore e non ti pago il pregresso’ ?
“Non siamo di fronte a una crisi della domanda, siamo di fronte a una crisi dei costi”, ci dicono. Bella scoperta. Ed infatti, sottoposti a stress notevoli per la produttività del lavoro che ha raggiunto livelli difficilmente migliorabili, la gente ‘scoppia’, e prima o poi, come si sta vedendo, cambia. Cambia, sperando che la ‘luna di miele’ col nuovo datore di lavoro dia tempo per recuperare il fiato, ed il turnover spinto ha colpito alcune realtà –basta vedere gli annunci degli headhunters o sui siti delle aziende che reclutano direttamente- che per anni avevano visto ridurre notevolmente il tasso di mobilità lavorativo, che si era ridotto parallelamente alla compressione del settore, che si era di fatto DIMEZZATO in nemmeno 20 anni, non dimentichiamolo.
Eppure, su 10 neolaureati/e del territorio che ho contattato personalmente per un reclutamento, con i massimi voti, solo 6 hanno fatto uno stage pre-laurea, e solo 2 o 3 sono stati confermati. Ragazzi e ragazze troppo qualificati, che andranno a lavorare altrove. Quasi nessuno investe per formare.
Eh…troppo facile lamentarsi poi!
Sul fatturato totale, tra Italia e Spagna qualche differenza ci sarà, l’Italia dovrebbe chiudere con un più 10 per cento circa, mentre l’industria delle piastrelle spagnola chiuderà l’anno intorno al 18-20 %.
Per quanto riguarda l’export, la Spagna raggiungerà il + 15%, mentre nel mercato interno si raggiungerà un incremento del 30%, che sarà al top delle previsioni che si erano fatte lo scorso anno. Pure l’Italia, con il traino dei vari superbonus (in Spagna c’è il 100 per cento ma non il 110 come da noi, e forse meno furbetti della sovrafatturazione) segna dopo anni un recupero del mercato domestico.
In questo contesto, spiega Nomdedeu, l’occupazione potrà essere mantenuta, “ma non sappiamo per quanto tempo”. Ascer stima che l’anno si chiuderà con un aumento dell’occupazione …ridicolo, tra l’1 e il 2%, il che vuol dire che il 20 per cento di crescita è stato fatto tutto con aumento o recupero di produttività della forza lavoro, non solo degli impianti, ma la corda a forza di tirarla può spezzarsi, ed episodi come certe fusioni/acquisizioni portano a ristrutturazioni, con tagli sul middle management, la spina dorsale di questa industria, inutile negarlo.
Ora si parte in fretta e furia qua e là, sia in Italia che in Spagna, con varie iniziative con l’idrogeno verde a tamburo battente, si va soprattutto a caccia di fondi, perché è ancora clamorosamente antieconomico, e lo sanno bene, oppure si va a caccia di primati e supremazie …. di marketing, prima che tecniche e tecnologiche. Ne riparleremo con calma nell’anno nuovo, intanto un sereno Natale a tutti.
Ing. Cristiano Canotti