Come era ampiamente prevedibile, dopo i primi segnali e scricchiolii della seconda parte del 2017, tutto il 2018 ha segnato una decisa battuta d’arresto del settore ceramico italiano, invertendo una tendenza durata quasi un quinquennio, ed il 2019 non sta dando -in generale- segnali di recupero molto confortanti, sebbene con andamenti per forza di cose a macchia di leopardo, vista la assoluta eterogeneità delle imprese italiane, dove ci sono grandi, piccoli, terzisti e commerciali, luxury oriented e no frills companies, insomma tutto ed il contrario di tutto.
Stupisce infatti come si consideri sempre il distretto sassolese come un unicum omogeneo, quando al suo interno-seppure con dinamiche comuni e con pregi e difetti simili dovuti al territorio –esistano fattori di enorme differenziazione imprenditoriale, come dimensione, solidità, attitudine al rischio, eccellenza tecnologica, integrazione verticale, orientamento al costo anziché al valore, etc. Raramente nel mondo esistono distretti in cui coabitano sia i fautori della ‘piastrella scondita’ da 2 euro al mq- ricordiamo che ci sono diverse decine di milioni di mq italiani che escono dai nostri confine e vanno nella grande distribuzione europea a prezzi franco fabbrica praticamente tutti nella forchetta 4/5 Euro e spesso con un 3 davanti nei formati base, ormai introvabili perché antieconomici- che realtà che mirano a rapportarsi con clienti e consumatori capaci di acquistare lastroni XXXL quasi tutti similmarmo a valori di non 1, ma 2 ordini di grandezza superiori. Perciò, basta con la media del mezzo pollo, Trilussa è morto e sepolto da un pezzo. Le analisi vanno fatte segmentando il mercato sia sul lato dell’offerta che su quello della domanda, altrimenti, se pensiamo che tutti più o meno fanno tutto, sono tutti capaci di fare tutto, e tutti competono contro tutti, allora è come credere alla pace nel mondo perché l’uomo in fondo è buono. Emerge comunque chiaramente la inevitabile prosecuzione del processo di polarizzazione delle imprese, solo parzialmente anestetizzato dal triennio magico 2015-2017 che ha consentito a qualche zombi ( o morto vivente se preferite) di sopravvivere ancora un po’ anche se agonizzante, ma la fine della strada già si profila all’orizzonte, ed il conto alla rovescia è partito, spesso con la cessione di assets fondamentali senza i quali non si andrà molto lontano, ma anche con dinamiche più coperte o originali. I prossimi tre anni saranno davvero interessanti, siccome in Italia il processo di gruppificazione primario si è interrotto da tempo, e si continua a non vedere aggregazioni su basi spontanee tra aziende complementari, secondo il principio ‘meglio soli che male accompagnati’, ma solo acquisizioni di origine finanziaria, più o meno rilevanti e più o meno interessanti, e più o meno con prospettive assolutamente speculative visto l’orizzonte temporale. Il tutto mentre i grandissimi e grandi gruppi-parliamo di non più di 6-7 aziende-si disinteressano totalmente, almeno in apparenza, di queste dinamiche e si concentrano sulla difesa dei propri confini e su progetti di crescita esclusivamente per via interna, appunto anche realizzando nuovi assets industriali o investendo su assets con potenzialità a medio termine e con utilità logistiche a cui finora erano meno sensibili. Finita l’ondata delle fabbriche negli USA, che ora raramente girano a pieno regime e che ha visto il brusco stop di iniziative similari nel breve, e l’effetto lastra, ora le carte sono distribuite, ed il mazzo è quello. L’effetto lastra – associato poi sia alla visibilità mediatica di aziende oggetto di acquisizioni finanziarie mediaticamente rilevanti come Laminam , legata al disinvestimento- smembramento del gruppo SYSTEM , oppure di Neolith The SIZE (vale la pena ricordare che è ‘incredibilmente’ un’acquisizione italiana in terra spagnola, fatto da un finanziere e non da un industriale) , più la fuga dal rivestimento, hanno distratto e anestetizzato diverse attenzioni agli equilibri ed alle richieste di mercato, e così facendo, gli spagnoli non solo proseguono con l’aver fagocitato la monoporosa vendibile in Europa, ma anche con lo switch da rosso a bianco/gres che crea una incredibile pressione sull’export italiano, grazie ad aziende snelle ed efficienti. Efficaci anche? Beh si ma non poi così tanto, come dimostrano anche le analisi che quest’anno sono state molto tempestive, visto che anche il settore spagnolo, come sempre con l’inerzia che contraddistingue un’industria che non fa ‘app’ ma piastrelle, sta iniziando a pagare dazio. Già a fine marzo ASCER ci diceva che il settore ceramico ha registrato il peggior inizio dell’anno in termini di produzione industriale dal 2009. La piastrella spagnola infatti ha chiuso il primo trimestre del 2019 con un calo del 7,3% dell’indice di produzione industriale, sperimentando la più grande battuta d’arresto dell’ultimo decennio dopo il meno 40% del 2009, in cui ci fu il crollo epocale e la fine di un’epoca, quella della pasta rossa. Tuttavia, nonostante il calo della produzione, il commercio estero ha chiuso positivamente nello stesso periodo. Il valore delle esportazioni alla fine del primo trimestre del 2019 è stato pari a 707 milioni di euro, che rappresentava un piccolo incremento del 2,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A gennaio la produzione è stata -5,6%, febbraio un gran freddo, meno 12,5%, marzo un meno 3,6%.
Il secondo semestre, da poco pubblicato, dice che aprile è stato meno 1,4%, maggio un tracollo, meno 14,6%, ed alla fine giugno un meno 8,3 %, che dà un totale medio ponderato, per il primo semestre, di meno 9,3%. Eppure si tratta di un settore in cui quasi sempre continuiamo a pensare a Porcelanosa, al grande Soriano ed ai Colonques, a Fernando Roig di Pamesa, oggettivi giganti, ma…. in realtà in Spagna sta cambiando –anzi, è già cambiato negli ultimi 4-5 anni – quasi tutto l’assetto proprietario ed imprenditoriale, con una velocità ed un dinamismo qui da noi totalmente sconosciuti. Per questo il processo di concentrazione che lì hanno vissuto negli ultimi anni, insieme ai processi di ristrutturazione interna, adeguamento dei costi e riduzione della leva finanziaria, ha creato un settore più redditizio, efficiente e competitivo, in quasi tutti gli indicatori…. ad eccezione del livello dei prezzi, e qui si giocherà la partita: gli italiani riusciranno a difenderli? E’ questa la domanda. Gli spagnoli non hanno bisogno per ora di abbassarli ulteriormente, con i prezzi che hanno riescono a fare soldi quanto gli italiani- stiamo ragionando della grande parte, i formati 30×60, 60×60 ed i derivati del 60×120 che fino a 4-5 anni fa quasi non facevano neppure, ed ora fanno eccome.
Le nostre aziende fino a quando riusciranno a farsi riconoscere certi differenziali? E cosa succederebbe con un calo dei prezzi generalizzato –ricordiamo che i valori lunari di solo 4-5 anni fa sugli spessorati 20 mm oggi fanno ridere, e così pure quello delle lastre giganti- di un altro bel dieci per cento come molti stanno praticando neanche tanto sottovoce? Molto spesso questi differenziali-che genericamente e qualunquisticamente attribuiamo al made in Italy- non hanno ragione di esistere, ed infatti, con impasti praticamente identici, gli smalti che sono fatti in Spagna, la differenza sta tutta nel costo del lavoro e nella produttività, che regala un margine di manovra notevole, ma anche le vendite nel loro caso sono meno costose. Le grandi società di consulenza multinazionali, in particolare KPMG, Deloitte e PricewaterhouseCoopers sono molto attive in Spagna, dove il settore ha evidentemente una importanza molto maggiore che in Italia, e ritengono che le operazioni societarie continueranno anche quest’anno, con almeno quattro o cinque accordi in più, sebbene con un cambiamento nel profilo dell’investitore. “Mentre il ciclo di acquisizioni da parte di fondi di private equity – il capitale di investimento – sembra entrare nella sua fase finale, con un numero significativo di fondi di riferimento già posizionati all’interno delle società, i principali attori industriali continuano a fare acquisizioni selettive, per ottenere quote ed eliminare l’eccesso di capacità “, ha affermato il responsabile di Deloitte nella Comunità Valenciana, durante la sua presentazione della relazione settoriale dell’industria ceramica. Questo in Italia non sta succedendo. Abbiamo per esempio un soggetto che agisce in Spagna in un modo, con aziende rinomate e di prezzo superiore alla media dei competitors locali, e qui in tutt’altro, a conferma del fatto che il contesto è diverso e non è riproducibile la medesima dinamica dell’imprenditorialità. Dal 2012 sono state firmate 25 operazioni con società spagnole, che includono sia l’assunzione di azioni da parte di investitori istituzionali – come quella di Lone Star in Esmalglass sia quella di SK Capital Partners in Halcón Cerámicas -, l’acquisto da parte di multinazionali – Victoria ha acquisito Keraben e Saloni ed ora IberoAlcorense- o la crescita di gruppi nel settore -Pamesa ha fatto diversi acquisti, tra cui Tau Ceramics-. L’anno scorso è stato raggiunto un record, con la formalizzazione di sette transazioni, con protagonisti gruppi industriali o di investimento. Nell’anno nuovo siamo già a quattro. L’interesse degli ultimi anni si è tradotto in un aumento dei prezzi di chiusura delle operazioni. La valutazione seria delle aziende più sane di solito oscilla multipli tra 6 e 7,5 volte l’ebitda, in un settore in cui le imprese più performanti hanno raggiunto ebitda ben sopra prossimi al 30%, a cui detrarre la posizione finanziaria netta rettificata. Le dimensioni aziendali riflettono direttamente l’evoluzione del business: la crescita in Spagna si è concentrata soprattutto sul 20% delle aziende, quelle più grandi. Era un Paese più ‘democratico’ del nostro, ora si è concentrato su poche aziende aristocratiche – alcune tra queste soffrono molto- ed alcuni parvenu estremamente dinamici ed intraprendenti che hanno sovvertito lo status quo.
In Italia invece le prime sette-otto aziende di quindici anni fa in termini di fatturato sono rimaste praticamente sempre le stesse, se escludiamo il blocco Marazzi- Emil ora di proprietà americana. Qualcosa vorrà pur dire. Tra le grandi sfide delle aziende ceramiche spagnole c’è ovviamente, come accennato in precedenza, la sostenibilità dei margini visto il livello dei prezzi. Il prezzo medio di vendita totale medio ponderato dei marchi nazionali non arriva ancora a 7 euro al metro quadro, lontano anni luce dai 13 euro e rotti al metro per i marchi italiani. Ovviamente il mix è diverso, ci sono dentro ancora 200 milioni di mq di pasta rossa, ma è chiaro che stiamo comparando mele con pere, però, almeno metà del frutteto ha sapore ormai quasi indistinguibile, un po’ come l’olio di oliva che ormai -nel mondo- per un terzo è spagnolo, anche quando miscelato.
Ing. Cristiano Canotti