E’ una fiera boicottata. Niente più colorifici, niente impiantisti, qualche cespuglio qua e là, molti prati, molte poltroncine, molte pareti mobili scure.
D’altra parte, continua senza sosta la perdita di posti di lavoro nell’industria spagnola della ceramica, che – in effetti- sarebbe ancora la più grande produttrice europea di questo materiale, come quantità, pur dopo due anni consecutivi di forti cali di produzione, visto il calo anche dell’omologa industria italiana nel 2023 (per l’Italia invece il 2022 è stato ancora positivo nonostante la crisi del gas).
Nell’ultimo anno, i produttori hanno continuato a tagliare le quantità prodotte, a causa del calo della domanda nei loro principali mercati esteri, che rappresentano quasi i tre quarti delle loro vendite.
L’associazione datoriale Ascer ha parlato per mesi di nuvole scure all’orizzonte del 2024, e per la ceramica di Castellón ha stimato, senza dare troppi dettagli, un calo della produzione nel 2023 di circa un altro 20%, riportando i dati sui metri quadrati prodotti ai livelli di un decennio fa. La produzione di questo settore, che riunisce più di un centinaio di aziende colossali come Pamesa, Porcelanosa o STN, è stata di circa 400 milioni di metri quadrati, con un calo del mercato domestico del 12%, mentre ha fatto molto peggio l’export, ben oltre il meno 20%, con punte ben peggiori in alcuni Paesi, soprattutto UK ed USA.
Un dato che secondo l’associazione non si registrava dal 2011 e dal 2012, dopo la crisi nera della pasta rossa e dei mutui, quando poi si iniziò una lunga cavalcata abbracciando il porcellanato smaltato.
Ma ormai da diversi mesi si parla di crisi, di licenziamenti, di riduzioni di personale e perfino di cessioni e chiusure di importanti aziende di diverso tipo, mentre invece, nonostante le guerre alle porte dell’Europa, per strada, continuano ad esserci consumi post-pandemia che rendono addirittura impossibile poter mangiare in un ristorante all’improvviso e senza prenotazione oppure, come è successo questo Natale a Valencia, provare a prendere un caffè in una caffetteria e dover fare più di 30 minuti in fila per strada prima di poter entrare. E naturalmente, vedendo queste immagini del consumismo, è praticamente impossibile per qualcuno pensare che ci troviamo di fronte ad una brutta situazione economica, proprio come continuiamo a sentire nelle notizie e nei giornali.
Gli operatori economici della provincia di Castellón puntano dunque all'”orizzonte 2024″, esercizio che, secondo le loro valutazioni, vedrà il proseguimento della crisi dovuta all’inflazione, agli alti tassi di interesse e al dramma per eccellenza delle crisi, la ceramica, principale motore economico della regione valenciana insieme ai ‘citricos’ ed alle automobili.
La presidente della Camera di Commercio di Castellón, Lola Guillamón, afferma che ” il 2023 è stato un anno impegnativo, soprattutto per l’industria della ceramica, uno dei pilastri fondamentali dell’economia provinciale”. «Nonostante gli sforzi del settore per mantenere la competitività e l’innovazione, hanno dovuto affrontare difficoltà significative, che si riflettono nell’ERE in diverse aziende. Una misura necessaria data la diminuzione della domanda, il calo delle vendite a livello internazionale, gli elevati costi di produzione e la comparsa di nuovi attori che competono più accanitamente a livello internazionale”, afferma Guillamón. Il settore delle piastrelle ha perso più di 2.000 posti di lavoro diretti nell’attuale ‘crisi dei costi’ e della domanda, passando da 17.000 a 15.000.
Una crisi dunque lunga, che sembra destinata a continuare anche nel 2024, appena iniziato, per esempio dopo che Altadia, il più grande fornitore mondiale di materiali (smalti ma non solo) per la ‘superficie’ ceramica, erede di Esmalglass-Itaca, Ferro, Fritta, Endeka e Quimicer, ha dovuto inevitabilmente unirsi ai tagli già praticati dai clienti domestici.
Il gruppo ha avviato da tempo trattative per intraprendere un forte adeguamento del personale che interesserà le sue principali società.
Il conglomerato industriale è di proprietà del fondo Carlyle, che lo ha acquisito da Lone Star due anni fa in un’operazione valutata 1,9 miliardi, e ha presentato in sei delle sue società domande di regolamentazione del lavoro (ERE) per ridurre il personale. Secondo fonti sindacali, sarebbero interessati complessivamente poco meno di 300 posti di lavoro dei circa 1.500 dipendenti della holding in Spagna.
L’aggiustamento per ora non riguarda le sue fabbriche e filiali negli altri 18 paesi in cui opera, tra cui Italia e Brasile, tra i più notevoli.
Il gruppo sottolinea che la misura è stata attuata a causa del calo delle vendite e della difficile situazione che sta attraversando il settore in Spagna. Uno scenario in cui non sono attesi segnali di ripresa nei prossimi dodici mesi, secondo i vertici, dove sono avvenuti avvicendamenti in alcuni dei ruoli apicali e che, pur non specificando cifre, sottolinea che un ERE è stato e sarà negoziato per ciascuna società e non per il gruppo nel suo insieme, dal momento che ci sono altre società che non sono interessate. Infatti c’è il 33% del personale della società valenciana Zircosil (ereditata da Endeka) e il 32% di Younexa, la ex Ferro, mentre in Esmalglass ed in Itaca il taglio è compreso tra il 15% e il 10%. Il gruppo mantiene un debito di circa 1.375 milioni di euro, con il quale ha finanziato l’acquisizione da parte di Carlyle, con un Ebitda rettificato di 181 milioni di euro.
Anche Colorobbia ha preso provvedimenti di contenimento, e via via proporzionalmente praticamente tutti i produttori di smalti, a cui ha fatto pendant il crollo delle importazioni marittime di argille e feldspati. L’ANFFECC, dal canto suo, cioè l’associazione dei colorifici, si rammarica di aver chiuso l’anno 2023 con un calo delle vendite e della produzione intorno al 25-30%, in conseguenza del fatto che da quasi due anni c’è stato uno shock energetico, a cui si aggiunge ora un calo della domanda che grava progressivamente sul settore.
L’associazione dei datori di lavoro di ceramica a Castellón si è preoccupata considerando che il settore non ha la capacità di raggiungere tecnicamente le riduzioni di emissioni previste per il 2030. “Continuiamo a cercare alternative per sostituire il gas, ma sono tutte in fase di sviluppo da una fase embrionale e non sono applicabili a breve termine”, secondo il vicepresidente di Ascer, Miguel Nicolás.
“Sebbene il settore abbia ridotto le emissioni del 12% nel 2022, la ‘fattura’ della CO2 è stata ridotta solo del 7% a causa dell’aumento degli euro per tonnellata degli ETS”, ha affermato Nicolás, che ha commentato che la fattura della CO2 del settore nel 2021 è stata di 62 milioni di euro, e nel 2022 di 57,5 milioni di euro.
Le imprese, i sindacati e gli enti sociali della provincia di Castellón hanno allora lanciato ancora una volta un SOS per chiedere aiuto al governo spagnolo per il loro motore economico, la ceramica. Si sono recati a Madrid ed hanno nuovamente presentato il Manifesto (ha quasi un anno) e richiesto aiuti economici, lamentando il confronto con il meccanismo fiscale del credito concesso in Italia dal governo Draghi alle aziende energivore, che ha salvato il 2022, anche grazie a prezzi che per quasi tutti gli spagnoli sono inaccessibili.
Già pochi mesi fa, attraverso la tavola rotonda ‘Il cluster ceramico oltre il 2023’, sono state rese note le prospettive future di diversi gruppi, che non sono promettenti. Particolarmente drammatica è stata la visione del segretario generale dell’associazione delle piastrelle Ascer, Alberto Echavarría, che ha avvertito che ‘non tutte le aziende possono cercare di uscire dalla crisi fabbricando prodotti ad alto valore aggiunto’, come sottolineano alcuni ‘esperti’.
“Tra il 40 e il 45% dei cluster non riescono a differenziarsi perché competono solo sul prezzo “, ha spiegato Echavarría, cercando di dimostrare che la soluzione non è così semplice. In pratica, ha ammesso da solo il problema. E’ roba spesso tutta troppo uguale, ma è un problema comune a tutti.
Secondo i dati forniti dall’associazione, nel 2007, prima della crisi dovuta allo scoppio della bolla immobiliare, il censimento delle imprese produttrici di ceramica era pari a 207. Alla fine del 2022 (prima dell’attuale crisi) il censimento ammontava a 112 aziende.
Vale a dire, insomma, che il settore delle piastrelle ha perso quasi il 46% delle aziende – produttrici di piastrelle e affini – in 15 anni.
Non è che in Italia ci sia questa grossa differenza, è solo iniziato prima il processo di concentrazione (sono state anche quasi 500) e la logica dimensionale dei gruppi che si sono via via consolidati grazie a quei 10-15 anni di maggiore anzianità.
Per questo, pur con un calo equivalente, gli italiani nel 2023 hanno recuperato tutti in marginalità percentuale, anche se alcuni hanno ridotto inevitabilmente la marginalità assoluta (e quindi il proprio enterprise value, ca va sans dir).
Se vediamo poi i numeri energetici dichiarati, non si vedono differenze sostanziali con la situazione italiana, anzi, restano i vantaggi.
Come industria ad alta intensità di gas, il consumo di gas naturale nel 2023 scende parallelamente alla riduzione della produzione, un consumo per il 2023 di 12 TWh rispetto a 14,9 TWh nel 2022 o 17 TWh nel 2023.
Con un prezzo medio nel 2023 di 48 €/MWh (TTF) e 44 €/MWh (Mibgas), la bolletta del gas del settore ha toccato 538 milioni di euro, quasi il doppio di quella del 2020 per consumi di gas leggermente inferiori e minore produzione.
L’elettricità ha un peso minore nel mix energetico e la produzione cresce attraverso la cogenerazione e l’autoconsumo. La bolletta elettrica finale prevista è di circa 150 milioni di euro. Quella italiana, con una produzione inferiore di soli 350 milioni di mq, è stata molto superiore.
Una fattura energetica globale stimata pari a circa 687 milioni di euro, circa il 14,5% del fatturato totale previsto, il che conferma come l’aumento dei costi diretti (materie prime, energie e consumabili) rispetto ai costi indiretti (ammortamenti e personale) abbia contribuito ad alzare i costi totali di quel tanto da rendere le piastrelle spagnole non sufficientemente attrattive. Il costo finale di produzione di una piastrella può essere molto più alta del prezzo che il consumatore è disposto a pagare per averla, il che significa che la produzione spagnola si trova ora ad affrontare una situazione di vulnerabilità e mancanza di protezione data dal mercato domestico, portando chi cerca il prezzo a rivolgersi spesso altrove.
Ovviamente… in India. Solo perché la Cina ha i dazi e le altre industrie mondiali sono poco orientate all’export, proteggendo soprattutto casa propria ed il vicinato.