Gli amici spagnoli ci guardano con meno invidia rispetto al periodo ruggente 21/22 post Covid.
La ceramica italiana infatti ha ufficialmente perso (ma leggendo i singoli bilanci la perdita aggregata sembra essere superiore) nel 2023 il 17,8% di fatturato e il 13,3% di produzione, ma ha ridotto – bene per il settore a livello sociale, meno bene per la sua competitività – la sua forza lavoro solo dell’1,1%, mentre la ceramica spagnola ha di fatto distrutto più di 2mila posti di lavoro.
Prendiamo un attimo la rincorsa con un riassunto dell’ormai lontano 2023, prima di vedere la situazione comparata del primo semestre 2024, non molto diversa.
Lo scorso anno 2023, ora che iniziamo con il Cersaie l’anno economico 2024/25, quello vero, non quello cronologico o quello fiscale- non è stato particolarmente drammatico solo per l’industria ceramica spagnola, che –sulla scia dei rincari energetici, dello shortage di argille ucraine e dell’inflazione – ha certo proseguito nella battuta d’arresto iniziata a metà 2022, ma lo è stato anche per l’industria italiana.
I due distretti amici-nemici, ma soprattutto rivali, hanno visto le vendite e la produzione diminuire in proporzioni tutto sommato piuttosto simili, è vero che l’approccio italiano al calo del mercato è stato più prudente, e non ci sono stati licenziamenti di massa, certo, si è fatto ricorso a tutti gli ammortizzatori sociali più soft, in particolare la cassa integrazione ordinaria, tranne solo un paio di eccezioni che hanno goduto della straordinaria, ma probabilmente non se la meritavano, nel senso che non c’erano e non ci sono tuttora i presupposti oggettivi per goderne, ergo, è stata una concessione politica, come tanto avviene ma solo in certi contesti .
Bene, se gli italiani hanno chiuso lo scorso anno fiscale 2023 con una produzione di 373,7 milioni di metri quadrati prodotti, il 13,3% in meno rispetto a quanto prodotto nel 2022, (431,2 milioni) ed ancora meno rispetto ai 451 del 2021, gli spagnoli hanno risposto producendo un po’ di più, 394 milioni di metri quadrati, il 21,2% in meno su base annua, perdendo dunque però anche di più.
E’ stato fatto giustamente notare che solo durante gli anni della crisi immobiliare e finanziaria (dal 2008 al 2011) la produzione è scesa sotto i 400 milioni di metri quadrati, secondo la serie storica illustrata negli anni dalla associazione dei datori di lavoro di Castellon, Ascer.
Se comunque ragioniamo solo in termini di vendite, l’industria ceramica italiana ha registrato un calo su base annua a doppia cifra, più marcato nelle esportazioni che nelle vendite nazionali.
I produttori italiani di piastrelle hanno venduto complessivamente 369,2 milioni di metri quadrati, il 17,8% in meno rispetto a un anno prima. All’estero sono stati spediti 248,8 milioni di metri quadrati, il 20,1% in meno, e sul mercato italiano sono stati venduti 84,4 milioni di metri quadrati, il 9% in meno rispetto al 2022.
In termini economici, in sintesi, la piastrella italiana ha fatturato 6,1 miliardi di euro, il 14,1% in meno rispetto a un anno prima. Nell’export sono stati fatturati cinque miliardi di euro, registrando un calo su base annua del 15,4%, mentre nelle vendite nazionali l’importo si è attestato a 1,1 miliardi, il 7,4% in meno.
A sua volta, l’industria spagnola ha chiuso il 2023 con 3.563,6 milioni di euro di fatturato, registrando un calo del 16,6% in valore e del 22,1% in volume. Nelle vendite domestiche ha fatturato 1.300 milioni di euro, il 7,1% in meno, ma sempre di più in proporzione all’ Italia pur con una popolazione decisamente inferiore, 47 milioni contro 60 milioni. Da notare che nel 2022 è stata raggiunta la cifra più alta della serie storica delle vendite nazionali, 1,4 miliardi di euro, il che sorprende abbastanza e certifica la scomparsa della pasta rossa dal mercato domestico, che aveva superato più volte anche i 300 milioni di mq, ma a prezzi …africani.
Si trattava insomma della cantieristica furibonda della Costa del Sol e di tutta una edilizia molto speculativa, sia nelle località di vacanza, che in certe periferie.
Il settore spagnolo delle piastrelle ha però chiuso lo scorso anno con quasi 15.000 addetti, per la precisione 14.934 addetti diretti, 2.049 in meno rispetto al 2022, ovvero in riduzione del 12% su base annua, mentre il settore italiano ha registrato un atteggiamento più riflessivo se non più buonista a livello occupazionale. Pertanto, l’anno scorso la ceramica italiana ha impiegato direttamente 18.432 lavoratori, praticamente lo stesso valore dell’anno prima, con un calo solo dell’1,1% rispetto al 2022, cosa che nemmeno il solo blocco del turnover può garantire ‘ipso facto’.
Ebbene: se tieni i dipendenti e li fai lavorare, devi produrre, e poi …devi vendere. Non ad ogni costo, ma quasi.
E’ quello che è stato deciso di fare, con tutta evidenza. I listini sono scesi ovunque, e non poco, e non solo per il famigerato ‘fuel surcharge’.
In apparenza nel solo 2024 c’è stato un altro calo, circa del 4,5%, ed il primo semestre vede stabilizzato l’ordine di grandezza del prezzo medio ponderato settoriale (con dentro tutto, dalle lastre allo spessorato alle subway tiles e perfino quel poco di rivestimento che è rimasto) con circa 16 euro al metro quadro alle porte del Cersaie.
E’ del tutto evidente che si tratta di una variazione solo di prima approssimazione, poiché il prezzo dipende dalla tipologia di prodotto e dal cliente a cui è rivolto, ma non c’è secondo me un gran dubbio sul fatto che la ceramica italiana continuerà a mantenere questo livello dei prezzi anche quest’anno.
Lo conferma il fatto che solo sul prezzo medio all’esportazione – senza contare le vendite interne – la diminuzione è pure superiore al 4%.
Dal canto suo, la variazione del prezzo medio nel caso delle piastrelle spagnole è ancora sconosciuta, perché gli spagnoli tendono a non comunicarli quasi mai troppo presto, se non in maniera indiretta, ma il 2023 secondo Ascer si è chiuso con un prezzo medio export vicino agli 11 euro/mq , con un aumento del prezzo del 7% anno su anno, sebbene pure qui sia impossibile sapere se è stato il diverso mix generato dalla riduzione di 20% ed oltre dei volumi che ha –come si dice in gergo ‘potato i rami bassi della pianta’.
Il mondo imprenditoriale spagnolo insiste comunque sul fatto che la crisi della domanda per Castellon non sia ancora finita, anche se i costi di produzione hanno dato per il momento un po’ di tregua alle aziende.
Resta il fatto che nel 2023 gli spagnoli hanno generato un EBITDA aggregato praticamente uguale a quello del 2022, quindi, in realtà, hanno recuperato margine percentuale, mantenendo quello assoluto.
La perdita di valore delle aziende insomma si è rallentata parecchio.
Lo stesso non si può dire di molte aziende italiane, da alcune grandi e nobili ad altre medie e piccole, ma sono alcune del primo gruppo quelle che hanno perso fatturato anche più del 20% ed hanno più che dimezzato sia i margini lordi che l’utile netto, con un effetto rimbalzo che ha dato parecchio da pensare. E’ pure cresciuto lo stock, certo era sguarnito a livelli minimi, ma in alcuni casi le crescite sono state consistenti in valore fisico e monetario, dell’ordine dell’8-10% del fatturato (quindi, si è messo a magazzino un mese intero).
Il conto alla rovescia verso la fiera Cersaie di Bologna mostrerà la faccia di queste aziende, dal 23 al 27 settembre si svolgerà l’evento internazionale più importante per la ceramica, l’Italia ceramica (Sassuolo district, la Romagna e poco altro) misurerà la propria forza con gli spagnoli bellicosi, e… proverà a risollevarsi in un contesto di persistente calo della domanda, con la Germania sdraiata, che continua a perdere quasi un 10 % dopo la botta polare del 2023. Altro che locomotiva d’Europa, in questo momento è il ronzino d’Europa, e comunque un ronzino che non beve e che non pare aver sete.
La Francia, Olimpiadi a parte, l’ha superata sia in quantità (ed i francesi sono 60 milioni non 85) ma soprattutto la distanzia in prezzo medio, e questa è davvero una novità, essendo entrambi Paesi con una grande distribuzione organizzata forte, con volumi unitari e potere d’acquisto rilevanti, in più, entrambe le industrie nazionali sono semidistrutte, un panorama di macerie a cui manca solo il colpo di grazia.
Il prezzo medio export verso la Germania è comunque ‘il’ prezzo dell’Italia, è la Francia che in questo momento ‘paga’ uno o anche due euro in più.
Mantenere e continuare a guadagnare quote di mercato è fondamentale, si attende il verdetto per i dazi indiani negli USA a cui- è facile immaginarlo- farebbe seguito una situazione speculare e simmetrica in Europa, in ordine inverso a quanto avvenne negli USA, ma all’orizzonte si vede una certa difficoltà delle imprese commerciali ‘pure’, la rapida avanzata di traders concorrenti che vendono a prezzi certo anormalmente bassi prodotti di provenienza indiana ( e devono ringraziare gli Houthi e la guerra nel Medio Oriente che ha fatto rialzare i noli dal Mar Rosso /Suez), senza dimenticare che l’ondata di protezionismo reciproco è inevitabile, ed è anzi già, o meglio ‘ancora’ presente in molti paesi , soprattutto africani, dove i cinesi stanno piazzando fabbriche gigantesche in puro stile nearshoring ( lo stesso fanno con gli USA piazzandole in Messico ed in mezza America Latina).
Ad ogni modo, alla fine della prima metà del 2024, la piastrella italiana in totale ha commercializzato meno della fatidica soglia di 200 milioni di mq, per un valore di oltre 3,1 miliardi di euro. Per quanto riguarda il volume di vendita, il dato rimane stabile, cresce appena dell’1% rispetto al 2023. Il fatturato dunque, causa prezzi (è il mix? è ‘anche’ il mix? Mah!) diminuisce ad un tasso anno su anno superiore al 4%.
Solo nell’export, circa 150 milioni di mq hanno generato un fatturato di 2,6 miliardi di euro, registrando un lieve aumento, inferiore all’1% in volume, e un calo di quasi il 4% in valore.
Se guardiamo all’evoluzione delle vendite per continente, nell’Unione Europea le piastrelle italiane hanno venduto quasi 90 milioni di metri quadrati per oltre 1.400 milioni di euro, registrando cali di oltre l’1% in volume e di quasi il 7% in valore. Se analizziamo il Regno Unito, osserviamo che quasi 4 milioni di metri quadrati (pochini eh!) sono stati venduti per più di 75 milioni di euro. In questo mercato, il calo in volume è stato dell’8,3% e in valore dell’11% su base annua. Il delta prezzo è del 3 e rotti per cento, quindi.
Passando all’America, il volume esportato è stato di circa 20 milioni di metri quadrati – circa il 10% in più – per un valore di oltre 440 milioni di euro – il 7% in più. Anche qui, delta prezzo 3% e rotti.
Solo negli Usa sono stati esportati quasi 16 milioni di metri quadrati, l’11,1% in più rispetto al 2023.
Più 8% in valore, prezzi in calo un pochino meno del 3% ( ma c’è un discreto effetto cambio quest’anno).
La coperta però è corta: là ci sono numerose fabbriche Italian-owned e non sono tutte a regime.
L’Asia, dal canto suo, ha fatto 18 milioni di metri quadrati per oltre 340 milioni di euro, ovvero il 6% in più in volume e quasi nessuna variazione in valore. Prezzi quindi calati in proporzione di conseguenza? Probabile.
Nel frattempo, più di 5 milioni di metri quadrati sono stati esportati anche in Africa, per un valore di oltre 54 milioni di euro – cifre simili a quelle dell’anno prima, ma sono destinate a diventare sempre più residuali, ed i prezzi superano i 10 Euro – e l’Oceania ha importato più di 2,5 milioni di metri quadrati per 44 milioni di euro, a prezzi dunque del tutto simili di quelli di una Germania, sebbene stiano laggiù, a testa in giù.